Vucumprà

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L’altra mattina ero al mare steso su un lettino a pochi metri dall’acqua, e vedevo che nel cancello di Ostia nel quale m’ero recato c’era meno gente rispetto all’altr’anno, probabilmente in connubio con i cambiamenti ai quali sono stati assoggettati un po’ tutti sulle rive di Roma per seguire le leggi più ferreamente.Ero sdraiato in solitaria e guardavo l’orario, vizio che valuto anche negativo ma che non riesco ancora a cancellare, quando vidi uno dei vucumprà (neologismo nato alla fine degli anni settanta che indica i venditori ambulanti africani) che era stato chiamato da una famiglia che voleva acquistare dei braccioli.

Il padre gli parlò in maniera vagamente rispettosa, mentre la madre sceglieva l’immagine impressa ed il colore preferito.
La bimba, che ipotizzo avesse tra i quattro e i cinque anni, guardava il tutto con un sorriso stampato.
Decisero insieme, lui e le madre, poi iniziò la trattativa per il prezzo dell’oggetto.

“10 euro, 10 euro” esclamò il vucumprà.

“Seee… Famo che te dò 5 euro. Pe i negozi  stanno a sto prezzo”.

Il padre marcava molto il suo romanesco, e l’africano accettò dopo un paio di tentativi.
Pagò e salutarono il venditore.
Smisi di guardare e tornai con il mio sguardo verso il libro che avevo aperto dinnanzi al mio viso.
Dopo una mezz’ora sentii il padre che, con tonalità di voce non alta ma neanche tanto bassa, si lamentava con la madre.

“C’ha venduto er bracciolo rotto sto stronzo. Appena ripassa vedi…”.

Io mi distrassi solo per qui pochi momenti poi tornando alla lettura, pensando che difficilmente avrebbe rivisto quel personaggio. Sbagliai. Passarono neanche cinque minuti e il vucumprà tornò a passare.

“Scusi… scusi…”, lo chiamò il padre “Il bracciolo che c’ha venduto era rotto. No bucato, ma co la valvola fatta male. Si sgonfia subbito“.
Il vucumprà prese il bracciolo sgonfio e iniziò a gonfiarlo.

“Guarda che te stai a sbajà. Se gonfia, ma tra poco è sgonfio”.
Lui non si bloccò e continuò a soffiarvi sino al termine. Poi disse “Io che posso fare? L’ho comprato così, che posso fare?”.
“Cambialo. Dacce n’antra confezione e questa la riporti a chi te l’ha venduta”.
“Io… Io… Io…” vucumprà confuso.
La madre “Si nun ce lo cambi subito, mi dispiace ma chiamo i carabinieri”.

“Quanno che vendi ste cose, se poi non funzionano, le devi cambiare. Devi esse onesto, e vivere in maniera pulita come noi italiani. Certe leggi… dai!”.


Rimasero sull’indecisione del vucumprà un minuto, poi gli diede un’altra confezione.

“Si, però adesso rimani n’attimo qua. Stavolta o provo”

Velocemente lo scartò, poi gonfiandolo, e dopo averlo gonfiato disse “Oh, io nun me faccio fregà du vorte”.

Il vucumprà s’allontanò tristemente.
Ora io vorrei esporti il mio punto di vista, quindi non oggettivo, ma soggettivo, ed il verbo dovere lo esporrò solo per utilità.

Avrei preferito che il padre si esponesse al vucumprà con aria non vagamente rispettosa, ma dovutamente rispettosa.
L’accompagnamento del sorriso avrebbe dovuto esprimerlo nella sua espressione, per lo meno nelle prime battute.
L’esasperazione del romanesco è stato, sempre e solo a mio avviso, un errore. Già il fatto che non è della nostra nazionalità dovrebbe importi al parlare in maniera più comprensibile, ed io l’ho sentito parlare con la compagna in assenza del vucumprà senza esagerare quella sorta di dialetto.

Questo è per me un difetto della maggior parte dei romani. Esagerarla per far capire orgogliosamente da dove si viene.
Il chiamarlo per fare il cambio esibendo quelli che sono i loro diritti, ecco, questo è un errore.

Sono in accordo sul chiamarlo per farselo cambiare, ma sono dell’idea che il ‘devi esse onesto e vivere in maniera pulita come noi italiani’ sia un ampliamento dell’errore. Se sei onesto sai che paghi con il rischio che ciò che compri potrebbe essere difettoso, nel qual caso entra la morale che non è legge.

Dire ‘Io pago e tu dai, poi se non funziona me lo cambi’ lo si potrebbe fare in un negozio, con lo scontrino che viene fatto dal venditore e mantenuto dall’acquirente, ma se vuoi essere legale, lui non può vendere e tu non puoi comprare.

Il dire poi ‘nun me faccio fregà due volte’, beh, questa è un’assurdità che mi fa ridere. Quando la ha gonfiato era gonfio, ma se poi si fosse sgonfiato dopo venti minuti con il vucumprà lontano?

Il ‘Mi dispiace ma chiamo i carabinieri’, le avrei esposto ‘se ti spiace non farlo, poi li chiamo per cinque euro?’, ma non ho detto nulla. Neanche con gli sguardi.

Ti sottolineo il fatto che non sono né contro il vucumprà né contro i genitori, ma ti ho raccontato il tutto nella speranza che si incentivi sempre più la tua fiamma del rispetto per chiunque.

Rispettiamoci vicendevolmente.

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